‘Pupi siamo, caro signor Fifì! Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti.’ (Luigi Pirandello, “Il berretto a sonagli”)
I Pupi siciliani sono una di quelle tradizioni che viene subito in mente quando si pensa alla Sicilia, quasi come se fossero lì da sempre.
In realtà sono una di quelle cose - come il carretto siciliano ad esempio - relativamente recenti, ma che allo stesso tempo sono diventate talmente siciliane in così poco tempo, da essere ormai parte integrante dell’identità culturale dell’isola.
L’Opra dei Pupi così come la conosciamo oggi si diffonde davvero solo nel corso del XIX secolo. I primi pupari siciliani arricchiscono i pupi con decorazioni, armature cesellate e dettagli preziosi, rendendoli le figure perfette per portare in scena gli epici racconti del ciclo carolingio, con Carlo Magno e i Paladini di Francia. I valori che vediamo rappresentati sono quelli cavallereschi della lealtà, del coraggio in battaglia e della sete di giustizia, passioni e ardori in cui si rifletteva una buona fetta della società siciliana dell’epoca.
Orlando è senza dubbio il protagonista indiscusso, il Paladino per eccellenza, valoroso e leale. Insieme a lui troviamo Angelica, la donna orientale per cui perde la testa, l’imperatore Carlo Magno, Rinaldo, il cugino e rivale in amore di Orlando, Gano di Magonza, il traditore malvagio per antonomasia, e molti altri.
A dar vita a questo grandioso spettacolo è il puparo, senza il quale l'Opera dei Pupi non potrebbe nemmeno esistere. Il pupo non sarebbe infatti che un pupazzo di legno riccamente decorato se non fosse per il puparo, colui che gli dona il movimento, la voce e le emozioni. I pupari del passato erano spesso analfabeti, ma conoscevano a memoria le storie che portavano in scena: modulando il tono, il ritmo e l’esposizione della voce, davano vita a uno stuolo di personaggi diversi, uomini e donne, buoni e cattivi (l’arte del cuntastorie insomma).
Oggi come in passato, è questo ciò che davvero coinvolge il pubblico, che dà pathos alla narrazione, che fa vivere i pupi sulla scena.
Dal 2008, l’Opera dei Pupi è iscritta tra i Patrimoni Orali e Immateriali dell’Umanità. Oggi vengono tradizionalmente riconosciute due scuole principali in Sicilia, quella di Palermo e quella di Catania. Le differenze più evidenti tra le due risiedono nelle caratteristiche dei pupi: più piccoli e snodabili i primi, più pesanti, grandi e rigidi i secondi. Entrambe le scuole si fanno portavoce di una tradizione che viene tramandata di padre in figlio, dando vita a delle vere e proprie famiglie di pupari che praticano quest’arte da generazioni. Tra quelle ancora oggi in attività, giusto per citare un paio di nomi, ci sono i Figli D’Arte Cuticchio a Palermo e i Fratelli Napoli a Catania, ma davvero sono moltissime le famiglie di pupari e le "scuole" sparse su tutta la Sicilia.
L’Opera dei Pupi è stata nel recente passato vicina a sparire del tutto. Come spesso accade alle vecchie tradizioni, è in pericolo costante di essere dimenticata o, peggio ancora, stravolta nella sua autenticità. Eppure i pupari si sforzano di mantenerne vivo il valore e - complice un rinnovato interesse di pubblico - sono riusciti a donarle nuova vita, senza per questo snaturarla.
In fondo, forse, la capacità di sopravvivenza dell'Opera dei Pupi risiede proprio nell’essere in grado di rappresentare lo spirito autentico della Sicilia e di portare sulla scena il meglio di noi siciliani.
E allora è un'eredità che faremmo meglio a tenerci stretta.